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La crisi delle cipolle: una tragedia annunciata

25/06/2008
Ventimila quintali di cipolle, della varietà precoce, rimarranno probabilmente nei campi veronesi. I commercianti di ortofrutta, infatti, hanno acquistato in anticipo all’estero varietà tardive, che si conservano in cella e gli scaffali dei banchi traboccano. Gli agricoltori si trovano a dover fronteggiare l’ennesima crisi per un prodotto che spunta prezzi stracciati e rimane in parte invenduto. “Le crisi di mercato sono cicliche e ricorrenti – spiega Damiano Berzacola, Presidente di Coldiretti Verona - ed hanno cause diverse fondamentalmente riconducibili a fattori climatici, commerciali e di evoluzione dei consumi. Se non si interviene sui presupposti (che sono sempre gli stessi) che determinano queste crisi, ogni anno ci troviamo a recitare “il de profundis” al capezzale di qualche prodotto”.

Quest’anno tocca alle cipolle, l’anno scorso ai cavoli della Bassa. Ripescando nella memoria storica dell’Ufficio Economico Sindacale di Coldiretti, a Verona, nel 2004-2005 è stato il caso della pesca, seguita dal melone nel 2005 e dal radicchio rosso nel 2006.

“Siamo vicini ai produttori - prosegue Berzacola - ma andiamo ripetendo ormai da anni, ad ogni occasione utile, che occorre contrattualizzare almeno una parte della produzione prima di seminare. E’ indispensabile produrre sulla base della disponibilità degli acquirenti a ritirare il prodotto a condizioni, quantità e prezzi prefissati.

I contratti, poi, vanno redatti con attenzione e con un’adeguata assistenza legale, in modo da tutelare sia il produttore, che l’acquirente. Questo garantisce correttezza e stabilità nei rapporti commerciali”.

Si sono verificati in passato, infatti, anche alcuni casi di contratti predisposti in modo non accurato che successivamente sono stati disattesi da una delle parti.

Di fronte ad una crisi di mercato, purtroppo, c’è poco da fare, a posteriori. “E’ inutile confidare su interventi pubblici di salvataggio - chiosa il Presidente di Coldiretti Verona - perché non ce ne sono. I pochi interventi ex post che si possono fare sono eventualmente affidati alle Organizzazioni dei Produttori (Op), le quali possono prevedere, nei loro piani operativi, alcuni limitati interventi in questo senso. Certo, che se un produttore commercializza per conto proprio e non fa parte di una OP, il discorso è già chiuso in partenza”.

Si può mantenere la propria indipendenza, sperando che la sfortuna di non riuscire a piazzare il prodotto sul mercato tocchi al vicino, ma a caro prezzo. Un prezzo che la piccola azienda agricola non può sostenere. Occorre entrare a far parte di realtà organizzate, in grado di assicurare un reale peso specifico sul mercato, con strumenti e risorse per poter offrire un minimo paracadute in caso di crisi.

“Accanto alle responsabilità dei nostri produttori – conclude Berzacola – ci sono però altre gravi questioni: ci piacerebbe conoscere la reale provenienza di quei quintali di cipolle bianche e dorate, presunte Made in Italy, che campeggiano nei reparti freschi dei supermercati dall’inizio della primavera. Queste varietà in Italia, si raccolgono solo da poche settimane. Ci chiediamo quale coltivatore italiano sia stato in grado di anticipare i ritmi della natura e delle stagioni. Ci risulta che da fine inverno a giugno, le cipolle siano coltivate in Australia, Cile, Argentina e India, insomma nel sud del mondo e con metodi di produzione tuttaltro che biologici”.

Dal pane e dal riso, alla cipolla, dunque. Purtroppo i controlli pubblici, sulle reali origini dell’ortofrutta sono solo formali, all’atto dello sdoganamento. Poi, che strade prendano questi prodotti non è dato sapere. Questo imbroglio non giova né a chi produce e opera con serietà, né a chi acquista.

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