Un Boris Godunov geniale e visionario alla Fenice
Al pianto del suo popolo dà voce Musorgskij, genio incompreso scomparso quarantenne per l’eccessiva confidenza con la vodka. Lo fa rinunciando volutamente ad approfondire gli studi musicali per non essere condizionato dalle convenzioni compositive e rifiutando qualsiasi concessione all’estetica del bello fine a se stesso. Sua unica preoccupazione è trovare i toni ed i colori appropriati per tradurre in materiale sonoro, nel modo più fedele e realistico possibile, il dramma di un popolo che subisce la lotta infinita per il potere. Di qui le sonorità scabre, cupe, la rinuncia a sviluppare i temi musicali, l’elementarità armonica e strumentale: quella patina di incompleto se non di dilettantesco, insomma, che inquietava il rifinito Rimskij-Korsakov, il quale, pur consapevole della genialità del Boris, non seppe però rinunciare alla tentazione di confezionargli una veste strumentale più splendida e brillante. Ed è questa l’unica edizione del Boris portata sulle scene fino agli anni trenta del secolo scorso, quando sorse il dubbio che Rimskij-Korsakov avesse tradito nella sostanza la ruvida essenzialità di linguaggio del Boris, imbellettandolo per renderlo più accettabile alle orecchie educate. Così nei teatri si incominciò ad ascoltare la versione originale; non solo quella definitiva conclusa nel 1872, ma anche la prima, il cosiddetto Ur Boris, risalente al 1869, che Musorgskij fu costretto a sottoporre ad una vasta revisione dopo che la Commissione di lettura l’aveva rifiutato anche per l’assenza di un personaggio femminile di rilievo.
Ritornare ai due Boris originali si rivelò l’intuizione vincente, in quanto solo quelli, belli o bruti che siano, carenti o meno sul piano dell’orchestrazione, sono i Boris voluti dall’autore e a questi bisogna fare riferimento; anche perché la loro personalità musicale, forse incompleta ma certamente spiccata, non sembra compatibile con dei “miglioramenti” tecnici, che finiscono inevitabilmente per non rispettarla. E’ giusto, quindi, avere fiducia in Musorgskij e nel suo genio, come ne ha avuta la Fenice proponendo l’edizione originale del 1872, che si conferma capolavoro assoluto nella sua capacità di conferire al melos popolare russo una dimensione umana ed artistica universale.
La concezione estetica di Musorgskij, quindi, prevedeva, per adoperare le parole di Franco Abbiati nella sua “Storia della Musica”, un modello di opera che fosse “pura e semplice manifestazione della verità”, “ritratto fedele della vita”. La scelta del soggetto del Boris, tratto dallo stesso compositore da un dramma di Puskin, risponde a questo ideale, riproducendo fedelmente, almeno in base alle conoscenze storiche dell’epoca, un periodo cupo e confuso della storia russa, a cavallo fra il XVI e il XVII secolo. Alla morte dello zar Ivan il Terribile, infatti, gli succede l’inetto primogenito Fedor, cui viene affiancato il capace statista Boris Godunov. Poco tempo dopo il secondogenito Dmitrij, un fanciullo di nove anni, viene trovato morto con la gola squarciata e, defunto anche Fedor, Boris è acclamato zar. Questi, tuttavia, non si liberò mai dal sospetto di essere stato il mandante dell’omicidio di Dmitrij e l’opera ci racconta il dramma del suo irrimediabile rimorso. Ma correva anche voce che il secondogenito dello zar Ivan non fosse morto e fosse invece cresciuto in un monastero. Ed in effetti un Dmitrij, con ogni probabilità un abile impostore, ricomparve ad un certo punto sulla scena e, a capo di un esercito di polacchi e di nobili contrari a Boris, ottenne un effimero successo per poi essere trucidato a sua volta.
Al servizio del capolavoro di Musorgskij si è offerto, alla Fenice, l’inesauribile talento visionario del regista lituano Eimuntas Nekrosius e di suo figlio Marius, scenografo. Il risultato è uno spettacolo ove la routine è bandita, di sbalorditiva ricchezza inventiva, ora entusiasmante ed ora allarmante ma sempre in intima sintonia con l’ispirazione artistica di Musorgskij, in totale consonanza con il suo universo morale. Mentre molti allestimenti, anche apprezzabili sul piano estetico o culturale, parlano un linguaggio diverso da quello dell’opera che dovrebbero rappresentare, qui si assiste ad una proposta teatrale che è completamente fedele al Boris di Musorgskij, non perché ne riproduca passivamente e didascalicamente i caratteri drammaturgici, ma perché è in grado, pur nel tripudio creativo che la contraddistingue, di coglierne la sostanza. Si pensi a come Eimuntas fa muovere le masse, con gesti e atteggiamenti che le trasfigurano in un attimo in popolani e boiardi russi della fine del 1.500. Oppure all’oggettistica povera di cui è disseminata la scena di Marius (secchi, scope, croci...), così in sintonia con la semplicità quasi barbarica del contesto drammatico. Ancora, alla genialità con cui il regista utilizza la struttura scenica messagli a disposizione dal figlio, un praticabile di forma irregolare come ritagliato col traforo all’interno di una parete che chiude la scena: quegli spazi angusti si popolano di figure il cui continuo andare e venire in un affaccendarsi senza tregua rappresenta, con intuizione di fulminante efficacia, la proiezione teatrale del momento emotivo che l’opera sta vivendo.
Quando la lettura drammatica di un melodramma giunge a livelli di così penetrante lucidità, poco contano le scorie che un talento così sovrabbondante inevitabilmente abbandona dietro di sé quando va sopra le righe (si pensi al colossale rosario, i grani come palle di cannone, che il gesuita Rangoni porta a tracolla), oppure quando propone una simbologia poco comprensibile e forzata (sempre Rangoni che lancia fiammiferi accesi contro Grigorij) o, ancora, quando non riesce ad evitare il superfluo (la cameriera di Marina, presenza muta fastidiosamente ammiccante e saltabeccante in tutto l’atto polacco). Poco contano alcuni particolari non a fuoco all’interno di una impostazione capace di donare al Boris una palingenesi teatrale ove l’estro visionario si sposa con la più acuta fedeltà al testo. Né va trascurato che all’esito complessivo di eccellenza (lo spettacolo, proveniente dal Maggio Musicale Fiorentino, è Premio Abbiati 2006) danno un contributo determinante i bellissimi costumi d’epoca di Nadezda Gultyaeva e lo splendido impianto luci di Jean Kalman.
Sul podio, il direttore musicale della Fenice, Eliahu Inbal, agisce con grande sicurezza e pertinenza, pur dando l’impressione, a tratti, di mancare di un quid di nerbo, di incisività, specie ove una certa monocromia della strumentazione esalta la ruvida solennità del dramma ma non valorizza il lavoro del direttore. Sotto la guida di Inbal, bene assecondato dall’orchestra del Teatro, si è imposto per la gagliarda omogeneità di suono il Coro della Fenice diretto da Claudio Marino Moretti.
Il Boris, come è noto, è di ardua e non frequente rappresentazione, anche perché richiede una copertura eccellente di almeno una dozzina di ruoli. La Fenice non è mancata all’impegno, scritturando una compagnia di canto di elevato livello professionale. Al suo interno si è imposto, applaudito alla fine dello spettacolo con unanime ammirazione anche da tutti i colleghi, l’indimenticabile Boris del basso Ferruccio Furlanetto. Nella sua voce, peraltro rimarchevole per robustezza e pastosità, risuona tutta l’estroversa, sofferta passionalità dello spirito russo, quella visceralità che può sembrare enfatica alla sensibilità occidentale e, invece, è il modo in cui quel mondo dà espressione anche artistica ai propri sentimenti. La straordinaria familiarità con la fonetica russa, poi, aiuta il basso di Sacile nel dare vita ad un fraseggio continuamente cangiante in espressioni, toni e colori, ove non una nota né un accento vengono sprecati. Se a ciò si aggiunge una presenza scenica carismatica e magnetica insieme, si può capire di trovarsi di fronte ad una interpretazione memorabile.
Intorno a Furlanetto si muove un cast, come si è accennato, di assolta affidabilità. Ricorderemo almeno l’eccellente Rangoni, dalla bella e insinuante voce scura, del baritono russo Valeri Alexeev; il nobile e raccolto Pimen, dalla morbida emissione, del basso armeno Ayk Martirossian; la Marina pienamente adeguata del mezzosoprano russo Julia Gertseva; il Feodor del mezzosoprano tedesco Annika Kaschenz e la Ksenija del soprano sardo Francesca Sassu, entrambe dalla vocalità pulita e dalla appropriata linea di canto; il Varlaam, ottimo sul piano vocale e scenico, del basso moscovita Maxim Mikhailov, bene assecondato dal Misail del bravo tenore modenese Bruno Lazzaretti e dall’Ostessa del mezzosoprano Francesca Franci, una sicurezza nei ruoli di carattere; l’imponente Scelkalov del baritono russo Valery Ivanov; l’Innocente, perfetto per la limpida e chiara vocalità, del tenore cinese Shi Yijie. Meno mi hanno convinto, invece, il Grigorij e il Sujskij rispettivamente dei tenori Ian Storey e Marcello Nardis: il primo, un heldentenor inglese efficiente sul piano vocale ma dal timbro poco seducente e privo di quella proterva baldanza che deve contraddistinguere l’usurpatore del trono degli zar; il secondo, in difetto di quella presenza subdola e insinuante, sia scenica sia vocale, in cui si sostanzia il personaggio.
Al termine, trionfo strameritato per Ferruccio Furlanetto ed un caloroso successo per tutti.
Adolfo Andrighetti
Asterisco Informazioni
di Fabrizio Stelluto
P.I. 02954650277
- e-mail:
- info@asterisconet.it
redazione@asterisconet.it - telefono:
- +39 041 5952 495
+39 041 5952 438 - fax:
- +39 041 5959 224
- uffici:
- via Elsa Morante 5/6
30020 Marcon (Ve)
Cartina
Questo sito è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell'art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana che così dispone: "Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione".
La pubblicazione degli scritti è subordinata all'insidacabile giudizio della Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.
Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche e materiali redazionali inviati al sito, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.
-
Direttore:
Fabrizio Stelluto -
Caporedattore
Cristina De Rossi -
Webmaster
Eros Zabeo -
Sede:
via Elsa Morante, 5/6
30020 Marcon
Venezia - Attiva i cookies
- Informativa cookies