Pitina, nuova star della gastronomica tipica
A Montereale Valcellina nella sede di Palazzo Toffoli, centro culturale che coniuga storia e attualità, è stato infatti presentato ufficialmente il Disciplinare di produzione Igp alla presenza dei produttori dell’agroalimentare tipico e degli enti locali delle Valli Pordenonesi. Un traguardo che corona vent’anni di lavoro, “richiamo tra i più efficaci per lo sviluppo economico e turistico del territorio” ha sottolineato l’assessore regionale alle attività produttive Enrico Bertossi, tenendo a battesimo il documento che ha già iniziato il suo iter alla Regione (che esprimerà a breve il necessario parere) e al Ministero delle politiche agricole e forestali per il riconoscimento dell’Unione Europea. Anche se sarà necessario attendere almeno un anno per consentire alla produzione di fregiarsi del marchio Igp, Ubaldo Alzetta (presidente dell’Ati che raggruppa undici produttori di pitina), cuoco e ricercatore della cucina montana pordenonese, produttore egli stesso, ha raccolto in un “finalmente” la soddisfazione di coloro che hanno sempre creduto nella validità dell’iniziativa.
Pieromano Anselmi, presidente della Comunità Montana del Friuli Occidentale che fin dall’inizio “sponsorizza” il progetto Igp, ha prospettato la validità della filiera di produzione della pitina come fattore di benessere economico, oltre che di promozione e crescita del territorio montano e pedemontano, mentre Giuseppe Damiani, funzionario della Comunità Montana e di Montagna Leader, uno dei “padri” del progetto, ha ricordato coloro che hanno mantenuto in vita la tradizione della pitina, a partire dal produttore della Val Tramontina Mattia Trivelli che si è impegnato per il recupero di una formula antica affidata soprattutto alla tradizione familiare. “Il più è fatto – ha puntualizzato Damiani –, ma adesso conta il processo di continuità: la creazione di una filiera di produzione corta, cioè non di grande distribuzione visto il limitato numero di produttori, con particolare destinazione alla ristorazione, e una sinergia rivolta a fare della pitina un testimonial di successo per il territorio, assieme ad altri prodotti delle nostre valli, dai vini autoctoni ai formaggi salât e dal cit, a tutte le altre specialità che fanno parte del nostro paniere tipico”.
“La documentazione storica relativa alla pitina è piuttosto recente – ha precisato Bepi Pucciarelli, enogastronomo che ha seguito con il tecnologo alimentare Cristian Cozzutti la stesura del Disciplinare –, tuttavia si basa su un retroterra di testimonianze orali di almeno 200 anni e un radicamento nel tempo indicato dall’uso familiare di questo cibo, che non è né un salume, né un insaccato, anche se ricette e metodi di lavorazione diversi indicano una ricchezza di varietà espressa perfino nei diversi nomi con cui viene chiamata a seconda delle zone di produzione: peta, pitina o petuccia”. Francesco Ciani, direttore dell’Istituto Nord Est Qualità, ha infine parlato del riconoscimento dell’Igp come “atto dovuto, perché la pitina è espressione dello stile di vita della popolazione locale, in grado di vantare, come la brovada, una singolarità unica e irripetibile”.
La bontà e la duttilità della pitina sono state in questi anni una rivelazione, come testimoniano i successi registrati ai Saloni del gusto di Torino e di Parma, alle fiere regionali e internazionali, alle rassegne gastronomiche. Oggi è presente nei negozi e nei ristoranti locali ed esterni alla provincia di Pordenone, riconoscibile dal marchio creato da grafico maniaghese Francesco Pitton, nel quale la “P” di pitina, composta e scomposta, riassume anche gli altri due nomi tradizionali e simboleggia la forma stessa degli ingredienti del composto.