Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia
LE FASCE DI POPOLAZIONE MAGGIORMENTE IN DIFFICOLTÀ
Da decenni il fenomeno “povertà” è in stallo: povero è, ancora oggi, il 13% della popolazione italiana, costretto a sopravvivere con meno di metà del reddito medio italiano, ossia con meno di 500-600 euro al mese. Accanto ai poveri, poi, ci sono i “quasi poveri”, ossia persone che sono al di sopra della soglia di povertà per una somma esigua, che va dai 10 ai 50 euro al mese: con riferimento all’Europa dei 15, l’Italia presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà.
Il Rapporto 2007 sulla povertà e l’esclusione sociale nel titolo si poneva una domanda: “Rassegnarsi alla povertà?”. Il Rapporto 2008 vuole dare una risposta: “Ripartire dai poveri”. Ma da quali “poveri” ripartire? Quali sono le situazioni cui va data priorità? Il nuovo Rapporto Caritas-Zancan individua due fasce di popolazione maggiormente in difficoltà: LE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI e LE FAMIGLIE CON FIGLI.
Nel nostro Paese risulta povero il 30,2% delle famiglie con 3 o più figli, e il 48,9% di queste famiglie vive nel Mezzogiorno (al 2006, ultimi dati disponibili). Si tratta di percentuali molto elevate: avere più figli in Italia comporta un maggiore rischio di povertà, con una penalizzazione non solo per i genitori che si assumono questa responsabilità ma soprattutto per i figli, costretti a una crescita con meno opportunità. Eppure in altri Stati non accade così. Ad esempio, in Norvegia non solo c’è un tasso di povertà notevolmente inferiore, ma anche una relazione esattamente opposta, ovvero più bambini si hanno (a meno di non averne molti), più basso è il tasso di povertà.
Per quanto riguarda poi la povertà degli anziani soli e/o non autosufficienti, si registra un aumento nelle regioni del Nord, in controtendenza con il resto del Paese: dal 2005 al 2006 l’incidenza di povertà relativa (percentuale di poveri sul totale dei residenti) in persone sole con 65 anni e più è passata da un valore di 5,8 a un valore di 8,2 (ultimi dati disponibili).
LA SPESA PER LA PROTEZIONE SOCIALE: L’ITALIA A CONFRONTO CON L’EUROPA
Passano gli anni ma niente cambia, e i poveri non riescono a uscire dalla povertà. Perché? Se non riusciamo a incidere sui fenomeni – evidenzia il Rapporto – significa che le risorse, oltre che limitate, sono male utilizzate.
Nell’Europa dei 15, l’Italia, dopo la Grecia, è il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà: abbattono la quantità di popolazione povera solo di 4 punti percentuali. Per esempio, Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda riescono a ridurre del 50% il rischio di povertà.
In termini generali, la spesa per la protezione sociale italiana, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche e da istituzioni private, non è alta: è sotto alla media Ue 15 sia in termini di percentuale di Pil, cioè di prodotto interno lordo, sia in termini di spesa pro capite a ciò destinata.
In realtà c’è stata una crescita considerevole nel corso degli anni, ma soprattutto a causa della componente previdenziale. Nel 2007, secondo il ministero dell’Economia e delle finanze, le istituzioni pubbliche hanno erogato prestazioni a fini sociali pari a 366.8782 milioni di euro, di cui il 66,3%, pari a 243.139 milioni di euro, per pensioni (+5,2% rispetto all’anno precedente). Lo squilibrio funzionale è evidente se si considera l’incidenza percentuale sul Pil: la spesa per la previdenza incide per il 15,8% (15,6% nel 2006), quella per la sanità per il 6,2% (6,4% nel 2006), e quella per l’assistenza sociale per l’1,9% (lo stesso valore del 2006).
Perché in Italia i trasferimenti sociali non riescono a incidere efficacemente sul fenomeno della povertà? Secondo il Rapporto Caritas-Zancan, due sono le questioni da affrontare con urgenza: il passaggio da trasferimenti monetari a servizi e la gestione decentrata della spesa sociale.
Certamente nell’ambito della protezione sociale i trasferimenti monetari costituiscono la voce principale di spesa a causa del forte peso delle prestazioni previdenziali. Tuttavia, se si concentra l’attenzione sulla voce «altri servizi», si nota che nel confronto europeo l’Italia è agli ultimi posti per incidenza di tale spesa sul totale delle prestazioni sociali. In altri Paesi, invece, l’aiuto in termini di servizi è significativamente maggiore: se l’incidenza in Italia non raggiunge il 5%, in Paesi come la Danimarca o la Svezia supera il 20% (per «servizi» si possono intendere le forme di aiuto che vanno dagli interventi domiciliari a interventi intermedi o territoriali, come i centri diurni o i servizi educativi, a interventi residenziali, come le case famiglia, le residenze per persone non autosufficienti ecc.). «Come evidenziano i dati, i Paesi che investono di più in servizi piuttosto che in trasferimenti monetari sono gli stessi Paesi che riescono a combattere la povertà con indici di risultato che raggiungono anche il 50%. È una strada chiara, che dovremmo percorrere anche nel nostro Paese, soprattutto oggi a fronte dei maggiori rischi causati dalla grave crisi economica».
Per quanto riguarda poi la gestione della spesa, nel nostro Paese l’assistenza sociale è tuttora erogata a livello centrale (sia dalle amministrazioni centrali che dagli enti di previdenza) piuttosto che a livello locale, diversamente da quanto prevedono le recenti modifiche costituzionali. Focalizzando l’attenzione sulla sola spesa per assistenza sociale e applicando la definizione di assistenza sociale adottata dalla Commissione Onofri, cioè 46.988 milioni di euro per il 2007, pari a un pro capite di 789,23 euro, otteniamo che solo 86,15 euro, cioè l’11%, è spesa gestita a livello locale. Si tratta di una contraddizione su cui è urgente intervenire, collegando strutturalmente il passaggio da trasferimenti a servizi e da gestione centrale a gestione locale.
RIALLOCARE LE RISORSE: UNA PROPOSTA CONCRETA
Il Rapporto 2007 Caritas-Zancan presentava un Piano nazionale di lotta alla povertà. In questa nuova edizione del Rapporto si scende maggiormente nel dettaglio degli interventi: è possibile offrire risposte ai problemi della povertà, senza aumentare la spesa complessiva per la protezione sociale, riallocando una parte delle risorse destinate alla spesa sociale. Da dove cominciare? Il Rapporto 2008 in particolare prende in esame la spesa per indennità di accompagnamento e la spesa per assegni familiari.
Istituita con legge 11 febbraio 1980, n. 18, la spesa per indennità di accompagnamento è una provvidenza in favore degli invalidi civili totalmente inabili a causa di minorazioni fisiche o psichiche. All’1 gennaio 2007 essa ammontava a 7.128 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 3.047 milioni in cui coesistono indennità e pensioni di invalidità, per un totale di 10.175 milioni di euro. Sempre nel 2007 la spesa per assegni familiari (comprende gli assegni al nucleo familiare, rivolti alle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente i cui nuclei familiari siano composti da più persone e i cui redditi siano al di sotto delle fasce reddituali stabilite di anno in anno, e gli assegni familiari, spettanti ad alcune categorie di lavoratori escluse dalla normativa dell’assegno per il nucleo familiare) è stata di 6.427 milioni di euro.
All’interno di entrambe le platee di beneficiari – di indennità di accompagnamento e di assegni familiari o al nucleo familiare – la povertà rappresenta un problema rilevante. Per questo Il rapporto Caritas-Zancan 2008 pone entrambe queste voci di spesa tra le aree di azione specifica per un piano di lotta alla povertà, ipotizzando forme parziali di riconversione dei 10.175 milioni di euro e dei 6.427 milioni di euro che rispettivamente compongono la spesa per indennità e per assegni.
Ma riconvertire in che modo? Passando da un approccio per categoria a un approccio basato sulla persona, la sua effettiva condizione, i suoi bisogni di protezione e promozione sociale, e trovando soluzioni perché almeno una parte del trasferimento monetario possa essere fruita in termini di servizi accessibili, come prestazioni di sostegno alla domiciliarità, attività di socializzazione, servizi per l’inserimento lavorativo, di accoglienza familiare part-time ecc. «Occorre applicare seriamente il principio di equità sociale e di universalismo selettivo – sottolinea TIZIANO VECCHIATO –, ponendo fine alle rendite di posizione, agli interventi a pioggia, mettendo al centro le persone e i loro bisogni, a partire dai più deboli e bisognosi di aiuto». E mons.VITTORIO NOZZA, direttore della Caritas Italiana, ribadisce: «La politica – quella vera e non serva del dio denaro – deve fare la sua parte. Riaffermando il bene comune e il primato della persona umana».
LA QUESTIONE POVERTÀ NON È UN INCIDENTE DA POCO SVILUPPO
«Se si è perso tempo, in particolare negli ultimi anni, è anche perché si è dato credito a una tesi convincente e seducente: la povertà potrà essere ridotta grazie allo sviluppo economico. In sostanza: “maggiore sviluppo economico, maggiore redistribuzione dei vantaggi di tale sviluppo, quindi meno povertà”. Si tratta di una tesi che ha un’indubbia capacità di convinzione e nello stesso tempo sposta in avanti la possibilità di impegno responsabile per affrontare il problema. Se questa tesi fosse vera, nel Paese che, pur con molte contraddizioni, è ai primi posti dello sviluppo mondiale – gli USA – non dovrebbero esserci 13 milioni di bambini che vivono in condizione di povertà. Se consideriamo i bambini che vivono in famiglie povere e in famiglie a basso reddito, la percentuale passa dal 17% al 39%. Se prendiamo in esame la condizione dei bambini poveri in quel paese negli anni dal 2000 al 2006, risulta che la povertà infantile è aumentata dell’11%, cioè 1.200.000 bambini si sono aggiunti ai già tanti costretti a crescere poveri ed emarginati (National Center for Children in Poverty, 2007). Se la tesi della riduzione della povertà, grazie allo sviluppo economico, avesse mantenuto le sue promesse, non dovrebbe essere così, anzi il contrario. … Non bisogna quindi dare credito alle facili sirene. La questione povertà non è un incidente “da poco sviluppo”. È invece fortemente radicata nelle economie occidentali».
Vittorio Nozza, direttore Caritas Italiana, e Tiziano Vecchiato, direttore Fondazione Zancan
Ufficio Comunicazione Caritas Italiana
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