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Ammortizzatori sociali: un dipendente su due è senza

12/01/2009
Assieme ai precari sono i lavoratori più a rischio. Stiamo parlando degli oltre 7 milioni di dipendenti del settore privato (precisamente 7.141.300 pari al 50,9% del totale dei dipendenti italiani escluso il pubblico impiego) che nel caso l’azienda li espella non hanno nessuna misura di sostegno al reddito (come ad esempio la cassa integrazione ordinaria o straordinaria). A stimare il numero di questo esercito di impiegati, operai, magazzinieri, autisti, camerieri, commessi, etc., senza sicurezze è la CGIA di Mestre che ne ha elencato anche i settori di appartenenza. A guidare il gruppo per numerosità è il settore dei servizi. In questo comparto ci sono 2.336.400 lavoratori dipendenti. Seguono gli occupati del commercio alle dipendenze di aziende con meno di 200 dipendenti che sono 1.968.000, quelli dell’artigianato (con l’esclusione dei lavoratori edili che usufruiscono della Cigo) pari a 889.500, gli addetti alle dipendenze di alberghi e ristoranti pari a 870.000, i lavoratori del credito/assicurazione pari a 544.400 unità e quelli delle comunicazioni (338.100 dipendenti). Chiudono la classifica i trasporti con 194.800 dipendenti.

“In questi giorni, giustamente, ha suscitato grande preoccupazione il forte aumento della cassa integrazione registrato nello scorso mese di dicembre – esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – Peccato che in Italia ci sia un esercito di oltre 7 milioni di dipendenti che non hanno nemmeno quella e nel caso la propria azienda, per le difficoltà economiche in atto, li allontani si trovano senza garanzie e senza nessuna copertura salariale. Sono dei veri e propri lavoratori invisibili che quando stanno a casa non se ne accorge nessuno. Per questo – prosegue Bortolussi – chiediamo al Governo di intervenire e di mettere mano a questa materia e, senza spese per lo Stato o con una spesa davvero minima, estendere le garanzie a tutti i lavoratori, senza, nel contempo, gravare di nuovi pesi le aziende in questo momento difficile. Si tratta, infatti, di riallocare risorse, che in gran parte già ci sono, mettendole dove oggi è più urgente e necessario”.

Le esperienze a cui attingere sono, secondo la CGIA di Mestre, quelle degli Enti bilaterali che, soprattutto in Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, ma, in verità, in quasi tutta l’Italia, sono e continuano ad essere un’esperienza di successo. In molte parti d’Italia, attualmente, imprese artigiane e loro dipendenti versano un contributo mensile che va a costituire un fondo comune di categoria gestito dalle parti sociali (per i metalmeccanici l’importo è di 9 € per ciascun dipendente) che eroga, su richiesta, sussidi per la sospensione dal lavoro, assistenza sanitaria e famigliare, etc. L’idea, chiaramente da perfezionare, sarebbe quella di ricapitalizzare questo fondo attingendo a vari programmi e contributi europei e, magari, con parte del ricavato della trattenuta dello 0,30% “in busta paga” che, attualmente, viene destinata alla formazione continua e con altri fondi da individuare. Estendendo l’operazione su tutto il territorio nazionale si potrebbe creare un ombrello protettivo per molte categorie di lavoratori che attualmente sono scoperte da queste garanzie.

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