Le due facce della Cina
Una ricerca fatta non solo di numeri e percentuali, ma anche di interviste con imprenditori cinesi: dal grossista al venditore ambulante, al ristoratore.
Ma per capire il fenomeno, si parte sempre dalle cifre: in base ai dati sui permessi di soggiorno (2003), in Veneto si registra una presenza di cinesi di circa 11.000 unità (attorno al 10% del dato nazionale), di cui il 15% nella Provincia di Venezia.
Sono note le paure e le inquietudini che nascono dal ritenere che vi sia un’invasione di imprenditori cinesi: invece, stando alla ricerca, il fenomeno dell’imprenditoria cinese è molto più contenuto di quello che ci si aspetterebbe. Sicuramente inferiore rispetto a quello degli ex-jugoslavi. In Provincia di Venezia, su 100 imprenditori extracomunitari più di 20 provengono dai paesi balcanici dell’ex-Jugoslavia, 15 dalla Cina. E la quota percentuale di imprenditori cinesi sul totale dei titolari di impresa presenti nei comuni veneziani è inferiore all’unità.
Questo però non significa affatto ridimensionare il fenomeno, anzi: gli scambi commerciali evidenziano numeri non da poco: basti pensare al settore del tessile-abbigliamento, quello che fa registrare le maggiori importazioni da parte delle imprese veneziane: una quota del 22% sul totale delle importazioni del comparto.
Indubbiamente, poi, i cinesi continueranno a migrare e c’è chi prevede che, entro cinque anni, la Cina diventerà il primo mercato per i prodotti di lusso made in Italy.
“La Cina, vista come problema oppure opportunità, rappresenta comunque un fattore importante, un processo irreversibile, perché questo Paese è di fatto entrato nella nostra economia” ha detto Fabrizio Alvisi, Funzionario del Centro Estero Veneto. “Quindi” ha aggiunto, per quanto riguarda le sfide dell’immediato futuro ” dobbiamo puntare moltissimo sull’innovazione tecnologica”.
“C’ è un problema di riposizionamento dell’Italia” ha affermato Enzo Rullani, Docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia. “bisogna diventare complementari alla Cina, sviluppando l’industria “intelligente”, quella cioè il cui sapere sta nel cervello di chi lavora, espandere il terziario creando così un nuovo welfare”.