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Verona: nuove ricerche cause genetiche infarto miocardico

04/03/2009
Dall’Università di Verona arrivano nuove scoperte nel campo della ricerca sulle cause genetiche di infarto del miocardio, una delle maggiori cause di malattia e di morte nel mondo. La prima è legata allo studio del genoma per individuare le cause dell’infarto famigliare; la seconda riguarda invece il coinvolgimento degli eosinofili, cellule collegate ai fenomeni allergici che si è riscontrato avere un ruolo fondamentale nell’infarto del miocardio.

Domenico Girelli, Nicola Martinelli, Oliviero Olivieri della Sezione di Medicina Interna del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale diretta da Roberto Corrocher firmano due articoli pubblicati in contemporanea sulla più importante rivista del settore, Nature Genetics, in cui si riporta una mappa dettagliata di nuovi marcatori genetici associati al rischio di un attacco cardiaco. In entrambi i casi si tratta di ampie collaborazioni internazionali, nel cui ambito la popolazione del Verona Heart Study - più di 2.000 pazienti veronesi con malattie cardiache che hanno “donato” il proprio DNA per la ricerca a partire dal 1996 - si è rivelata utilissima per la scoperta di tali nuovi marcatori.

Il primo studio, condotto in collaborazione con Sekar Kathiresan, responsabile del servizio di Cardiologia preventiva del Massachusetts General Hospital di Boston (USA) e con ricercatori di 10 Paesi (il Consorzio MIGEN), ha arruolato 26mila soggetti ed ha portato alla scoperta di 9 regioni sul genoma associate all’infarto precoce. Queste informazioni danno una luce nuova sul mistero che sinora avvolgeva molti casi di infarto che tendono a ripetersi nell’ambito di alcune famiglie, coinvolgendo più individui delle stesse, talvolta senza che vi sia un sostanziale contributo dei fattori di rischio “classici” quali, ipertensione, obesità, diabete. A questo studio ha partecipato attivamente anche un altro professore dell’ateneo veronese, il cardiologo Flavio Ribichini responsabile del laboratorio di emodinamica.

Al secondo studio, coordinato dal gruppo islandese DeCODE, hanno partecipato invece anche alcuni ricercatori del Dipartimento Materno Infantile e di Biologia-Genetica: Pier Franco Pignatti, Elisabetta Trabetti, Giovanni Malerba, e Attilio Boner.

Questo studio ha focalizzato la propria attenzione sui determinanti genetici che regolano il numero di un particolare tipo di globuli bianchi che circolano nel sangue ed infiltrano i tessuti, vale a dire gli eosinofili. Queste cellule sono notoriamente molto importanti nell’infiammazione, soprattutto quella correlata a fenomeni allergici. In questo ambito, i ricercatori hanno individuato una serie di marcatori genetici associati al numero di eosinofili circolanti, e di conseguenza al rischio di sviluppare asma bronchiale. Con una certa sorpresa, uno di questi marcatori (sul gene SH2B3) ha dimostrato una forte associazione anche con il rischio di sviluppare un infarto cardiaco.

“L’importanza dell’infiammazione nella formazione e nello sviluppo delle placche di aterosclerosi che occludono i vasi sino all’infarto, è nota da tempo, tuttavia mai prima d’ora si era sospettato un ruolo così importante degli eosinofili in questo settore – spiegano i ricercatori veronesi -. Entrambi gli studi aprono in realtà concrete prospettive per una migliore comprensione dei meccanismi molecolari che causano l’infarto, con l’obiettivo finale di poter sviluppare strategie preventive e farmaci sempre più mirati. La speranza è che si arrivi nel più breve tempo possibile ad una medicina basata sempre meno sul concetto della ‘misura unica per tutti’ cioè dare a tutti gli stessi farmaci, senza sapere in realtà se il singolo individuo se ne gioverà effettivamente oppure se svilupperà piuttosto degli effetti indesiderati; al contrario le terapie dovranno essere basate sempre più sul concetto dell’ ‘abito su misura’, dare ad ogni singolo individuo i consigli o le terapie di cui ha effettivamente bisogno in base al suo corredo genetico”.

Università degli Studi di Verona

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