L'Aquila. Il suo nome evoca il fiero animale, che si libra con ali possenti tra gli spazi infiniti del cielo, ne respira la brezza, ne trapassa, con occhio acuto e penetrante, la grandiosità. Ora quella fiera bellezza giace ferita, con le ali spezzate da una forza che distrugge ogni alito di vita, ogni speranza di salvezza. E’ sanguinante, con gli occhi rivolti al suo amato cielo, a cercare una misericordia che non si concede, come una donna fedele, a chi la invoca con disperazione. Le zampe rattrappite, come per tenersi a quei mattoni di burro fuso, irti di chiodi ricurvi che non sorreggono più niente e nessuno: lacrime di donne urlanti con i cuori lacerati, bambini belanti come agnelli impauriti, vecchi accartocciati nell’anima silente. Il vuoto della follia è pieno di fragore urlante, disperazione, terrore. Non c’è spazio ancora per la speranza, tutto sembra finito. Sembra. L’aquila sa che non potrà più volare e librarsi nei cieli della vita, ma lo faranno gli aquilotti implumi che aveva deposto al riparo, in un soffice nido miracolosamente intatto. Ad ogni Pasqua, l’agnello sacrificale risorge. L’aquila morente lo sa e guarda il cielo: i suoi aquilotti stanno già provando a battere le ali.

Cristina De Rossi e Fabrizio Stelluto Asterisco Informazioni