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Confartigianato Veneto: 8.800 posti fissi in meno (-4,4%)

22/10/2009
C’era una volta, nell’ artigianato, il posto fisso. In Veneto, era raro che l’operaio o l’impiegato di un’impresa artigiana restassero senza lavoro. Anzi, l’artigianato assorbiva anche la manodopera che le grandi aziende espellevano, offrendo per di più un lavoro di qualità: professionalizzate, vicino a casa, flessibile e a tempo indeterminato (nostra regione la percentuale di occupati nell’artigianato a tempo determinato oscilla tra il 2 ed il 3 %).

Adesso, però, la crisi è arrivata anche per le aziende artigiane; e il tributo pagato è pesante, in termini occupazionali. Nei primi sei mesi del 2009 i dipendenti sono calati del 4,4%, in base all’indagine congiunturale realizzata semestralmente dalla Confartigianato del Veneto elaborando le informazioni relative ad oltre 50 mila cedolini paga gestiti dalle Associazioni/Unioni provinciali, (pari a circa un quarto dei dipendenti totali regionali): “Vuol dire che abbiamo perso quasi 9 mila posti di lavoro nei primi sei mesi, a livello regionale –spiega il presidente della Confartigianato del Veneto, Claudio Miotto- Sono posti di lavoro che si sommano al calo numerico delle imprese attive, che nei primi sei mesi è stato dell’ 1,4%, per circa 2 mila unità. In totale, fanno quasi 11 mila posti di lavoro in meno, sui quali poca attenzione c’è stata da parte di mass media e politica. Siamo all’ emergenza, e da questo dato di fatto occorre partire, per dare finalmente risposte rapide e strutturali, perché ci sono interi settori nei quali numero di imprese e dipendenti stanno crollando”.

Il calo degli occupati, nell’artigianato veneto, si concentra nelle attività produttive: meno 5,1% nel legno, meno 6,1% nel tessile- abbigliamento- calzaturiero, meno 6,3% nel vetro- ceramica, meno 6,9% nella meccanica, addirittura meno 8% nell’ edilizia. Un crollo, più che un calo. Un crollo che si verifica in settori che sono tradizionali punti di forza dell’ artigianato della regione. Fa eccezione solo il comparto alimentare, con una crescita di 5,3 punti. I servizi, invece, arretrano molto poco: meno 1,2%.

A perdere il lavoro sono soprattutto gli apprendisti: meno 41,5% per quelli sotto i 18 anni, mentre quelli “ultradiciottenni” fanno registrare un meno 8,0%. Quanto agli operai, la diminuzione è stata di 4,2 punti, soprattutto tra le donne (meno 8,4%), visto che molti dei settori in crisi sono ad alto tasso di occupazione femminile. Altro segno della crisi: contrariamente a quanto avveniva in passato, il calo dell’ occupazione è stato forte soprattutto per i lavoratori stranieri (meno 7,5%, mentre per gli italiani si è fermato al 3,4%.

Per le imprese, la maglia nera delle chiusure vede in testa il legno (meno 3,4%), seguito da vetro e ceramica (meno 3,3%) e dalle manifatture varie (meno 3,1%). Le aziende meccaniche sono diminuite di 2,4 punti.

“E’ evidente che i provvedimenti congiunturali, i pannicelli caldi, non bastano. Non possiamo attendere che la crisi passi, perché per allora il nostro settore si sarà enormemente impoverito, con un concreto rischio di marginalità, e quindi di incapacità di agganciare un’eventuale ripresa –commenta Miotto- Occorrono interventi strutturali e in profondità: nell’apprendistato ad esempio, dove gli artigiani spendono per formare personale 103 milioni di ore a livello nazionale. Quanto al credito, i nostri livelli di sofferenze sono modestissimi, migliori di quelli delle famiglie, ma veniamo trattati in banca come se fossimo ad altro rischio. Anche qui, occorrono fatti, non parole. E poi ci sono le infrastrutture che non funzionano, sono un costo più che un volano per la crescita economica. E la burocrazia: finora troppo poco è cambiato, ogni operazione è un percorso ad ostacoli. Qui occorre un cambiamento fortissimo, in tempi brevi, perché la burocrazia rappresenta per noi un costo alto e un forte ostacolo ad intraprendere. Infine, le tasse: è ora di passare dalle parole ai fatti, un settore e un’economia in crisi non possono reggere i livelli di tassazione attuali. Quindi occorrono interventi rapidi, incisivi, in profondità, che sono possibili solo modificando davvero la struttura della spesa pubblica”.

UFFICIO COMUNICAZIONE

Andrea Saviane, Roberto Brugnoli, Toni Grossi

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