We Can't Go Home Again
We Can't Go Home Again era stato concepito da Ray e sua moglie, Susan, affinché diventasse uno strumento per insegnare a fare cinema attraverso la pratica e non la teoria. Perché "l’unica maniera per imparare a fare un film, è attraverso un altro film", aveva dichiarato Ray. E' un film laboratorio, che mescola diversi linguaggi espressivi e diverse tecniche, perfettamente nello spirito di una Biennale di Venezia laboratorio delle arti del futuro.
Per oltre trent’anni i materiali di We Can't Go Home Again sono rimasti sugli scaffali di un deposito di pellicola. Susan Ray, in collaborazione con la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, diretta da Marco Müller e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta, e assieme al partner della Mostra Jaeger-LeCoultre, si appresta a completare il montaggio del film secondo le intenzioni del regista e a restaturarlo così che possa essere proiettato alla Mostra 2011.
Susan Ray è la presidente e fondatrice della Nicholas Ray Foundation, pensata per onorare lo spirito pionieristico del marito, salvando e restaurando i suoi film e gli archivi di materiali, e sostenendo l’innovazione e la sperimentazione nel cinema contemporaneo. Il progetto è di grande portata, e comprende, accanto il restauro di We Can’t Go Home Again, la creazione di un serie di DVD, un’istallazione museale, un film intitolato Nicholas Ray Master Class, e la nascita di un sito interattivo. Analizzando il lavoro di Ray in questi diversi modi, il progetto vuole non solo comunicare la sua importanza quale cineasta, ma anche aprire nuove vie nel recuperare e mostrare i film.
Considerato "il lavoro di un pazzo" da qualcuno, un’opera d’avanguardia da altri, We Can’t Go Home Again rimane una prova cinematografica straordinariamente forte e innovativa, celebrata dai più grandi cineasti contemporanei, come Wim Wenders (che cita più volte questo film di Ray nel suo Lightning Over Water/Nick's Movie). Marco Müller aveva proiettato le due versioni (1972 e 1976) incomplete del film quando era direttore del Film Festival Rotterdam, nell'ambito della prima integrale dell'opera "in contesto" del regista, nel gennaio 1991.
“Al primo incontro all'Harpur College nello Stato di New York - ricorda la moglie Susan - Nick si è presentato in classe con cinque pagine di sceneggiatura e un calendario che stabiliva un lavoro per ciascun studente nel team per due settimane, a rotazione: cameraman, sceneggiatore, truccatore, tecnico del suono, fattorino, tecnico delle luci. Così alla fine dell’anno scolastico ogni studente avrebbe fatto un esperienza funzionale per ogni ingranaggio del set. Presto, comunque, per l’intensità degli scambi fra studenti e docente nell’improvvisare le scene, quello che era iniziato come un semplice esercizio ebbe vita propria. Da quelle immagini, emotivamente genuine e dagli incontri estremamente personali, nasce la storia di due generazioni incapaci di parlarsi l’una con l’altra, e di una società che ha dimenticato da dove viene”.
Il film fa uso di una tecnica innovativa, chiamata da Ray ‘mimage’ o ‘multiple image’: ossia tre, quattro, o cinque immagini in movimento fissate simultaneamente su una pellicola 35 mm. L’obiettivo di Ray era di cercare i confini di queste immagini in dissolvenza, più che mantenere la spigolosità dei fotogrammi, per dare un’immagine più accurata di come veramente la mente pensasse: "non in linea retta", insisteva Ray. Anche se Abel Gance, Jean-Luc Godard, Stephen Frears e Mike Figgis si sono tutti cimentati con lo schermo frammentato, la raffinatezza e la forza emotiva delle immagini multiple di Ray non sono ancora state eguagliate dopo ben trent’anni dalla loro realizzazione, nemmeno da quando la tecnologia digitale rende questa sperimentazione immediatamente accessibile.
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