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No della Corte europea al marchio cannabis per le bevande

26/11/2009
Il termine "cannabis" non può essere utilizzato come marchio per gli alcolici che contengono canapa, come alcuni tipi di birre, vini o spiriti. L'ha deciso la Corte di Giustizia europea, cioè il Tribunale dell'UE (che non ha niente a che vedere con la Corte sui diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, quella della sentenza sui crocifissi) respingendo il ricorso di un imprenditore italiano in un contenzioso con l'Ufficio dei marchi comunitari. Secondo la Corte europea, chiamare in questo modo vini, birre e distillati potrebbe confondere il consumatore che logicamente potrebbe pensare di acquistare prodotti che provocano effetti stupefacenti.

Tutta la vicenda è iniziata nel 2003, quando il signor Torresan ha ottenuto dall’Ufficio dei marchi comunitari, l'UAMI, la registrazione del marchio "cannabis" per birre, vini e distillati. In seguito, il marchio è stato dichiarato nullo dalla stessa UAMI, su richiesta di una ditta tedesca, che contestava l'uso del termine. Ma Torresan porta il caso alla Corte europea sostenendo che la parola "cannabis" è allo stesso tempo un nome comune e un marchio di fantasia, senza alcuna relazione con le caratteristiche di birre e altri alcolici. Il segno "cannabis", sostiene l'imprenditore, "era presente sul mercato italiano come marchio fin dal 1996 e, dal 1999 ha acquisito una notorietà considerevole come marchio comunitario per birre, vini e spiriti", senza tuttavia avere alcun legame descrittivo con il prodotto al quale si accompagna.

Ma secondo la Corte c'è un'incongruenza inaccettabile. I tre possibili significati della parola "cannabis", secondo la Corte, sono: pianta tessile, sostanza stupefacente e sostanza utilizzata per scopi terapeutici. La parola è utilizzata nel settore alimentare per la fabbricazione di tè, oli e tisane ma anche paste, prodotti di panetteria e biscotteria, senza però che la sua presenza – molto limitata - provochi alcun effetto stupefacente. L'esatto contrario, dice la Corte, di quanto potrebbe pensare un consumatore mediamente attento e informato, che sarebbe invece stimolato a comprare il bene attratto dalla possibilità di ottenere le stesse sensazioni ottenute dal consumo della cannabis. L'imprenditore avrà due mesi di tempo per impugnare la decisione del Tribunale ma limitatamente alle questioni di diritto.

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