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Privatizzazione acqua: puntare su sviluppo sostenibile

08/03/2010
Si è tornato a parlare di “privatizzazione dell’acqua”, a Venezia, in una conferenza organizzata dagli studenti dell’Associazione Paesaggi VenetiSos; al centro del confronto l’articolo 23 bis del Decreto Legge 112/2008, in cui si afferma che la gestione dei servizi idrici può essere affidata a privati. Di fatto, come sta già succedendo in molte realtà, viene spogliata l’acqua del suo valore di “bene pubblico”, trasformandola altresì in un “bene economico”.

Un decreto legge (anomalo in quanto non dettato da provvedimenti di specifica urgenza), che sembra addirittura entrare in contrasto con alcuni articoli della Costituzione Italiana, ad esempio l’articolo 43, che sottolinea la centralità dell’ente pubblico nell’erogazione e tutela del servizio. Questo decreto è già diventato legge e il Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua sta cercando (attraverso convegni, attività nelle scuole, corsi di formazione) di promuovere una coscienza critica sugli “sprechi sociali” e sulla consapevolezza che l’acqua è un bene limitato e necessario, per il quale è necessario un modello di sviluppo sostenibile, salvaguardando anche la qualità delle risorse idriche. Ci troviamo di fronte, infatti, ad una situazione critica, dove la scarsità d’acqua, a livello mondiale, è dovuta alla progressiva desertificazione, ai cambiamenti climatici, all’ inquinamento, ad un uso scriteriato: un esempio è il lago Ciad, uno dei più grandi dell’Africa che, nel giro di quarant’anni, si è ridotto dell’80%. È previsto che, nel 2050, la popolazione mondiale aumenterà del 40% e ognuno consumerà, in media, 30 litri di acqua al giorno; già oggi, però, 30.000 persone muoiono quotidianamente per mancanza d’acqua così come 5.000 bambini per dissenteria; oltre un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’ acqua potabile e due miliardi e mezzo di individui non hanno servizi igienici. Questi dati sono causati sia dalla spirale di povertà, in cui i Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo si trovano, ma anche dal fallimento delle politiche per la gestione delle risorse idriche. Si prevede, addirittura, che le guerre del 21° secolo saranno “guerre per l’acqua”. È necessaria una nuova etica dell’acqua come diritto dell’uomo. Bisogna tutelare questo bene prezioso fin dall’origine, perché nei Paesi in Via di Sviluppo non c’è potabilizzazione e non c’è nemmeno un trattamento dei rifiuti che, per l’80%, finiscono nei fiumi o in mare. L’acqua è un bene sociale e quindi bisogna avere chiaro il concetto di responsabilità, indispensabile per evitare abusi e sprechi. L’acqua non può essere una merce come tante; è necessario puntare ad uno sviluppo sostenibile, tenendo conto delle generazioni future e garantendo i bisogni primari alle generazioni attuali.



Michela Picciuto

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