Coniglicoltura: Italia all’avanguardia ma calano i consumi
Il Piano nazionale di intervento per il settore cunicolo, presentato in anteprima da Giovanni Di Genova della Segreteria Tecnica del MIPAF, individua interventi e linee d’azione finalizzati al potenziamento economico e produttivo di uno dei settori forti della economia agricola nazionale e veneta al fine di sostenerne la competitività sui mercati, sia quello interno che quello internazionale.
L’Italia è il secondo produttore mondiale dopo la Cina, anche se il Venezuela, secondo altre stime ci contende la posizione.
Nonostante questo “podio”, nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una significativa crisi di redditività per i nostri produttori, è stato detto dal V.Presidente di AVITALIA e Presidente del “Coniglio Veneto” Stefano Bison. Diversi sono stati i fattori: variabilità dei prezzi, stagionalità della domanda, ciclicità delle produzioni, evoluzione continua delle norme su qualità, sicurezza alimentare e benessere animale; una struttura produttiva molto polverizzata, l’assenza di specifiche ed adeguate politiche di promozione e di informazione alimentare, consumatori con un’età anagrafica alta.
Comunque, il comparto cunicolo chiude un’annata migliore delle precedenti proprio sul piano della redditività, grazie alla tenuta delle quotazioni sul mercato all’origine e al contenimento dei costi di produzione, che ha consentito agli allevamenti almeno di non produrre in perdita.
La produzione mondiale annua di carne di coniglio, ha segnalato Gabriele Zampieri di Veneto Agricoltura, è stimata in circa un milione di tonnellate, metà delle quali prodotte nell’Unione Europea. I principali produttori sono la Cina, con circa un terzo del totale, l’Italia (un quinto), Spagna e Francia (9%), in crescita come detto il Sudamerica. In Italia la coniglicoltura è un importante settore della zootecnia da carne, dopo quello dei bovini, dei suini e dei polli, con una produzione lorda vendibile di circa 340 milioni di euro. Sono oltre diecimila gli addetti, attivi direttamente e nell’indotto. A concorrere alla produzione di 43.450 tonnellate di carni macellate è soprattutto il Nord, con oltre i quattro quinti (82,18%) della produzione italiana. Regioni leader il Veneto, con ben il 39,6% della produzione complessiva, l’Emilia Romagna con il 22,3%, il Piemonte con l’11,2% e la Lombardia con il 9,1%.
Oggi la provincia di Treviso ha circa il 40% della produzione cunicola veneta, seguita dalle provincie di Padova, Verona, Vicenza e Venezia. Per Belluno l’attività cunicola si colloca nella Valbelluna e per Rovigo nell’alto Polesine.
La realtà cunicola veneta è molto composita. Si va dagli allevamenti di qualche centinaio di conigli a quelli con svariate migliaia. La gestione del coniglio richiede professionalità e dedizione dovendolo accudire per 365 giorni all’anno, alla stessa stregua delle vacche da latte. Ragion per cui il livello professionale veneto è più che buono. Benessere animale, prassi igienica, salubrità del prodotto e tracciabilità sono le garanzie che gli allevatori di coniglio del Veneto offrono ai consumatori.
Il bilancio dell’ultimo quinquennio però è fortemente negativo avendo avuto un anno positivo, tre consecutivi negativi e quest’ultimo a pareggio. La realtà del mercato ha portato purtroppo al fermo produttivo di molti allevamenti ha segnalato Bison. Stime di questi giorni, è emerso duirante il dibattito, calcolano nel Veneto un calo attorno al 15% che porta, nel 2009, la produzione attorno ai 19/20 milioni di conigli prodotti. Ciò anche perché il comparto si caratterizza per uno spiccato individualismo che indebolisce i produttori e impedisce l’effettuazione di azioni comuni di sostegno.
E’ necessaria infatti una azione di comunicazione sulle qualità della carne di coniglio coinvolgendo ad esempio le scuole, le mense scolastiche e i pediatri: idee queste contenute nel nuovo Piano nazionale. Quella del coniglio infatti è una carne magra, povera di colesterolo, adatta ai bambini ed alle puerpere, che può essere tranquillamente acquistata e facilmente consumata, come quella del pollo. Nonostante ciò, per quanto riguarda i consumi, si registra un marcata diminuzione della domanda interna (superiore al 10%), preoccupante sia dal punto di vista alimentare che per il futuro del comparto.