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Che fine ha fatto il docu-film?

30/08/2010
"Mi interessa la vita piu' che il racconto" diceva Ermanno Olmi a proposito dei suoi films e dei documentari memorabili girati, tra gli anni '50 e '60, con grande rigore stilistico, con i quali mostrava l'uomo ed i suoi problemi personali nell'ambito delle attivita' lavorative. E seppure il documentario sia oggi forse l'unico genere del linguaggio cinematografico tradizionale a mostrare un' evoluzione davvero significativa, tutt'ora come all'epoca di Olmi, i lavori piu' interessanti sono quelli che pescano nel mondo pieno di storie, piu' affascinanti di quelle inventate. E gli autori giocano col romanzesco ricostruendo contemporaneamente una realtà intransigente e fedele.

Come sosteneva Serge Daney, 'registrare' è quanto rimane al cinema di piu' autenticamente proprio e specifico. A Venezia 67. un drappello di ben 30 documentari si offre al blando interesse del grande pubblico e sfida future difficoltà di distribuzione, anche se tra gli autori figurano Salvatores, Tornatore, Turturro,Mazzacurati (per nominare i piu' noti). Inoltre, come sottolinea Isabella Sandri, a Venezia con '' Per questi stretti a morire'' , girato con Beppe Gaudino, (omaggio amoroso e poetico, da loro stessi definita ' biografia arbitraria' di Alberto Maria De Agostini, missionario e viaggiatore nella Patagonia cilena e argentina) in questi anni il documentario ha sofferto la logica del profitto. Dopo il fenomeno Michael Moore si chiede al documentario di essere spettacolare e d' intrattenimento. Dicotomie e fermenti comunque creativi come se il confine tra realtà e finzione si andasse assottigliando fino a raggiungere una promiscuità feconda che si allontana dall'uniformità dell' immagine.

Mariateresa Crisigiovanni

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