Il grido d’allarme dei Comuni
La capacità delle comunità locali di sostenere il difficile momento sociale dipende esclusivamente dalla possibilità delle Amministrazioni comunali di svolgere il proprio ruolo di tutela nei confronti dei cittadini amministrati. Lo Stato taglia le risorse alla fonte, la Regione ha preannunciato tagli pesantissimi, scaricando la responsabilità della spesa sociale sui comuni. In questa epoca di tagli e restrizioni generalizzate della spesa pubblica, gli unici enti che si occupano seriamente e concretamente delle fasce più deboli della popolazione sono i comuni.
La posizione critica assunta dai Sindaci nei confronti del Patto di Stabilità, resa particolarmente evidente in questi giorni dalle proteste e iniziative assunte dall’ANCI e da 12 sindaci del Veneto, che hanno deciso la chiusura dei Municipi, rende evidente il disagio degli amministratori locali di fronte ad una riforma che, di fatto, è costituita da tagli, a volte molto consistenti, dei finanziamenti ordinari erogati dallo Stato per il funzionamento dei comuni. Non abbiamo ancora i dati certi sull’entità dei tagli ai comuni, ma sappiamo che si sommeranno alla pesante riduzione dei trasferimenti della Regione ai comuni, in particolare nel settore sociale.
La mia valutazione di Sindaco e vicepresidente di ANCI Veneto è di natura politica e amministrativa.
Per definire “virtuosa” una pubblica amministrazione bisogna valutare due aspetti.
Il primo è legato alla spesa e quindi ad una gestione del bilancio che garantisca la maggiore efficacia possibile nello spendere le risorse disponibili per realizzare interventi utili alla comunità, cioè che incidano direttamente nel miglioramento del territorio e dei servizi erogati dal Comune ed abbiano una ricaduta sociale, economica ed educativa. Interventi da realizzare senza ricorrere, se non in misura contenuta, a finanziamenti attraverso mutui con banche o la cassa depositi e prestiti per finanziare gli investimenti, ma ricorrendo invece all’autofinanziamento, per non appesantire in modo consistente le spese correnti destinate al pagamento degli interessi sui mutui.
Il secondo aspetto riguarda le entrate e in questo caso l’Amministrazione è “virtuosa” se riesce a mantenere le entrate e tributi propri (ICI sui fabbricati diversi dalla prima casa, addizionale IRPEF, tassa sulla pubblicità, tariffe per mensa e trasporto scolastico, uso di palestre, ecc.) al livello più basso o comunque più vicino a quello che è l’impegno totale di spesa per la gestione ed erogazione dei servizi.
Quindi alla capacità, ad esempio, di mantenere un’aliquota ICI ridotta, sebbene a questo proposito vada tenuto conto che i valori catastali e quelli di zona variano tra i diversi comuni. Così come va considerato che alla diversa condizione socio-economica di un territorio comunale corrisponde una diversa potenzialità delle entrate per ICI, IRPEF o pubblicità.
In ogni caso, ciascuna Amministrazione comunale risente delle condizioni storiche derivanti sia dallo sviluppo socio-economico e quindi dalle scelte strategiche realizzate o meno in passato, sia dai dati storici dei trasferimenti erogati nel corso degli anni dallo Stato e dalla Regione.
Negli anni 60/70 i comuni veneti sono stati gestiti con criteri che potremmo definire “parsimoniosi”, con livelli di indebitamento non elevati e quindi trasferimenti da parte dello Stato molto al di sotto della media nazionale, sebbene anche questo dato sia diverso tra comuni e aree geografiche.
Oggi questa situazione pregressa sta determinando per gli enti locali una condizione nella quale il sistema dei trasferimenti dallo Stato e la difficoltà nell’acquisire entrate proprie rende sempre più difficile e complicata la gestione dei comuni.
In alcuni casi ci sarà sicuramente la necessità di tagliare servizi, in altri non si potranno spendere nel modo più assoluto le risorse accantonate negli ultimi anni per effetto del Patto di Stabilità, il che significa non realizzare opere pubbliche fondamentali per lo sviluppo delle comunità, quali strade e piazze, scuole, edifici per servizi, parchi, infrastrutture sportive e culturali.
Di fatto si creerà una condizione di “ingessatura" dell’attività amministrativa.
L’aspetto assurdo di tutto ciò è che, invece di snellire le procedure, di anno in anno si stanno complicando gli adempimenti e rendendo più lunghi i tempi di risposta ai cittadini, ma soprattutto viene lesa l’autonomia e la democrazia prevista dalla Costituzione nei confronti degli Enti Locali, perché ogni decisione sulla definizione delle entrate e spese dei Comuni viene imposta dal Governo e dal potere legislativo.
A questo punto mi domando che senso hanno l’elezione diretta dei sindaci e la presenza di una Giunta e un Consiglio comunali.
E’ comprensibile che in momenti di difficoltà socio-economica ciascuno contribuisca a rendere meno pesante la situazione di crisi, partecipando e contribuendo a rendere stabile il Paese. Ma è ancora più evidente che il Governo e lo Stato non possono non tener conto delle differenze tra comuni “virtuosi” e quelli che non lo sono.
Il federalismo fiscale che dovrebbe avviarsi nel 2014 viene indicato come la soluzione dei problemi, perché oltre a trattenere le risorse nel territorio nel quale sono state prodotte, introduce il criterio della responsabilità da parte degli amministratori nella gestione e nel governo dei comuni, come se fino ad oggi tutti gli amministratori fossero degli irresponsabili.
Sono convinto, invece, che tanti colleghi sindaci e amministratori hanno un grande senso di responsabilità e una grande professionalità che mettono quotidianamente a disposizione della comunità per svolgere al meglio il loro ruolo pubblico.
Certamente nessuno è perfetto, ma nessuno può dirci che siamo irresponsabili. La strada per la gestione futura delle nostre amministrazioni va ricercata nella condivisione tra i Comuni e il potere legislativo: Governo, Stato, Regioni, per dare la possibilità a ciascuno di contare su risorse proprie o trasferite adeguate all’obiettivo di raggiungere livelli di erogazione dei servizi il meno disomogenei possibile, dando pari dignità alle comunità locali, tenendo conto anche delle scelte dei singoli amministratori che possono valorizzare, tutelare e sviluppare al meglio le proprie comunità con equilibrio e responsabilità.
Concludendo: il potere legislativo se non vuole premiare le migliori amministrazioni, deve almeno evitare di penalizzarle, come invece sta succedendo continuamente negli ultimi anni.