A Venezia 70, per la sezione Classici DOC passano due documentari di uno dei fotografi di moda più famosi, Bruce Weber che ha fotografato qualsiasi celebrity, dal mondo dello spettacolo a quello della politica, passando per l’arte, la musica e la letteratura. Uno che ha studiato con Lisette Model e Diane Arbus, alla quale lo lega un filo sottile fatto di sensibilità comuni e fascinazioni per il corpo in tutte le sue forme. Dice Weber “Ognuno di noi ha una sua voce. E forse guardando il lavoro di una vita si riesce a vedere un filo che unisce tutto. Mi piacciono le foto di Klein ed i documentari di Flaherty e le sue foto degli esquimesi. Dobbiamo tenere, testa, cuore, orecchie, occhi aperti.” A dispetto di moltissimi suoi colleghi, usa ancora la macchina analogica e dichiara di amare il mistero legato al processo fotografico tradizionale e la profondità di campo della pellicola. Attraverso le figure umane ridisegna l’orizzonte del bello richiamandosi alle pose dell’estetica classico-antica. Da ragazzo, per poter frequentare la NYU Film School, ha fatto il modello, esperienza che rafforza in lui l’interesse per quello che accade dietro la macchina fotografica e di conseguenza dietro la cinepresa: “penso che fare films ti insegni ad essere un fotografo migliore e viceversa”. Nessuna meraviglia quindi che nel 1988 Weber abbia corso per l’Oscar con il suo “Let’s get lost” in cui ricostruisce la tormentata personalità del trombettista Chet Baker, il mito dal ‘viso d’angelo’, attraverso immagini, performance ed una serie di interviste ad amici, familiari, colleghi e donne della sua vita. L’atmosfera dominante del documentario è evocata sin dall’inizio attraverso l’immagine del volto sciupato di Baker, cinquantasettenne, che siede , capelli al vento sul sedile posteriore di una decappottabile. La malinconia, il dolore e le sofferenze di quegli anni sono tutte sul suo viso. E tuttavia Baker mantiene un carisma unico poichè il suo modo di suonare e la sua voce triste sono una combinazione irresistibile. Nel corso del film risulta chiaro come il suo magnetismo fosse un dono oltre che la sua condanna. Weber trascorse sei mesi con Baker per fissarne gli aspetti più sfuggenti. Il film risulta quasi una parabola umana ed artistica di un genio musicale con una devastante forza autodistruttiva. Dice il regista “E’ stata una vera sfida perché ero un suo amico e lo amavo veramente. Non avevo soldi, ma volevo finire il film. Non c’erano le attrezzature di oggi, così abbiamo proiettato i primi spezzoni sul muro di un edificio storico di N.Y. Lì arrivò la notizia della sua morte ed abbiamo tutti pianto.”
Per Weber le immagini vanno sempre insieme ad una musica quando stanno ancora nella testa, e ad ogni immagine corrisponde il giusto commento musicale, anche se la colonna sonora può sembrare straniante rispetto a quanto si vede. Ad esempio il bellissimo corto ”The teddy boys of the edwardian drape society” anno 1996, spaccato dell’era rock-a-billy nella Londra di oggi, ha come accompagnamento un’aria di Puccini.
“Nice girls don’t stay for breakfast „ (titolo ripreso da un album del 1967 della cantante Julie London) è una sorta di work in progress su Robert Mitchum in cui il leggendario cattivo ragazzo di Hollywood mostra una fragilità impensata. Filmato quasi interamente in b/n con un incredibile materiale di archivio dell’attore, è un docu che rivela un uomo modesto e schivo, la cui personalità sullo schermo e la reputazione di una personalità complessa ed insopportabile nella vita (fu anche arrestato per uso di marjuana, seppur in seguito assolto), si scontrano totalmente con l’immagine che Weber è stato in grado di cogliere. Mitchum era un uomo sensibile, ed a dispetto della sua reputazione di conquistatore, rimase sposato 57 anni con la stessa donna. Bello, con lo sguardo ironico, ha rappresentato il modello dell’antieroe per generazioni di attori, ed il numero uno tra gli interpreti di films noir. Il docu ha come voce narrante quella roca del musicista blues Dr John, ed include rarissimi filmati di Mitchum anche compositore, che canta con lo stesso Dr John, con Marianne Faithfull e Rickie Lee Jones. Il film include pure alcune imperdibili interviste di Weber a Mitchum, a suo fratello ed a numerosi amici.
In ambedue i documentari Weber dimostra di essere un poeta, un sognatore mai incline al voyerismo, e sentimentalmente attento alla profonda essenza dei suoi soggetti, geni in declino, con negli occhi e nei volti le cicatrici della vita.
“Se sei sopravvissuto a qualcosa, la vita è una vittoria ed io apprezzo la bellezza della sopravvivenza”.
Mariateresa Crisigiovanni